giovedì 16 giugno 2011

La complessa storia di Soufiane - Parte terza

Parte seconda

Isa trovò Soufiane in stazione e lo trovò sorridente, come sempre e nonostante tutto. Se ne andarono in pizzeria: Soufiane faceva fatica a leggere il menù, ma aveva molta fame, poiché era in giro per la città senza cibo né acqua dalla sera prima. Era evidentemente imbarazzato dalla presenza di C., ma i suoi grandi occhi neri brillavano colmi di gioia infantile.
Dopo la pizzeria, tornarono a casa.
La Casa dei Ranocchi non aveva una camera per gli ospiti, così Soufiane dovette arrangiarsi in soggiorno, tra i gatti e i libri di Isa.
La aiutò a preparare il letto, ringraziandola mille volte e accarezzando con dolcezza Emma, che si mostrava spavalda col nuovo arrivato: si strusciava contro le caviglie del ragazzo, passeggiava temeraria fra le coperte e i cuscini del divano.
Cagliostro, più cauto e costante nel suo compito di vigilare su Isa, osservava Soufiane da lontano, seduto sulla soglia della stanza, con la punta della coda adagiata sulle zampe anteriori.
«Gli piacerai» disse Isa, rassicurando Soufiane, che osservava perplesso il gatto nero. «Devi solo dargli tempo.»
Soufiane era comunque felice che qualcuno si occupasse di lui; ma il ragazzo non poteva restare nella Casa dei Ranocchi.
Il giorno seguente, domenica, Isa e C. lo riaccompagnarono alla casa-famiglia di T. Durante tutto il viaggio in auto, Isa tentò di convincerlo a non scappare più. «Non ti posso aiutare, se continui a scappare. Lo capisci?»
«Non mi trattano bene là. Non mi mandano a scuola, non mi comperano le scarpe...» Alzò un piede, per mostrare la scarpa da ginnastica con la suola scollata, di due numeri più grandi.
«Devi avere pazienza...» ribadì Isa; tuttavia, appena oltrepassarono la soglia della comunità, capì come non fosse possibile avere pazienza in certe circostanze.
Furono accolti da una giovane e saccente educatrice, Daniela, con unghie lunghe laccate e occhiali dalla montatura spessa. Volgare e sbrigativa nel modo di parlare. A pelle, Isa provò per lei una forte antipatia. Non le piaceva quel posto. Non le piaceva la luce debole e fredda di quelle stanze, l'orribile giallo "becco d'oca" con cui erano state dipinte le pareti.
L'educatrice condusse Isa e C. in "ufficio" e mandò Soufiane a farsi una doccia. Quindi sedette dietro a una scrivania disordinata, tradendo un evidente nervosismo. «Ecco, adesso che sono soli, di là...»
«... chi?» la provocò volontariamente Isa, affettando ingenuità.
«I ragazzi, i ragazzi! Ora che sono soli, chissà cosa combineranno!»
Non aveva ancora finito di pronunciare la frase che già dal piano superiore si sentivano arrivare grida e colpi sul pavimento.
Daniela uscì dall'ufficio come una forsennata e si precipitò su per le scale, urlando.
Isa e C. la seguirono sul pianerottolo, perplessi.
Simone, un concitato ragazzino asmatico, mise la testa fuori dalla sua stanza, esclamando: «Si stanno picchiando!» e trascinò i due malcapitati visitatori dentro la camera. Qui dopo poco riapparve Daniela, spettinata, ansimante, che mise il telefono nelle mani di Isa («Chiami i carabinieri, presto!») per poi sparire di nuovo, inghiottita dalla tromba delle scale che conducevano al secondo piano.
Chiusi nella stanza di Simone (che, nel frattempo, presidiava l'ingresso e tentava di respirare con regolarità), Isa e C. chiamarono la stazione dei carabinieri e tentarono di spiegare loro l'accaduto - senza saperne di fatto nulla.
Quando finalmente l'educatrice decise di scendere, strappò il cordless dalle mani di Isa con un impacciato "Faccio io" e andò a chiudersi nell'ufficio.
Simone spiegò a Isa che Soufiane si era picchiato con un ragazzo da poco maggiorenne, temuto da tutti (educatori inclusi) e che proveniva dal carcere minorile.
«E che cosa ci fa, qui, un ceffo simile?» domandò C. «Questa non è forse una comunità per minorenni con problemi familiari?»
«Sì... in teoria...» rispose Simone con evidente imbarazzo.
Ignorati sia da Daniela "l'educatrice" sia dalle forze dell'ordine che nel frattempo erano giunte sul posto, Isa e C. decisero di tornare a casa.
Bussarono alla porta dell'ufficio: «Noi andremmo...»
«Sì, certo» rispose Daniela, riprendendo a recitare la parte della rigida e inappuntabile educatrice di comunità. La situazione, ormai, era ai limiti del grottesco. «Le farò avere quanto prima il numero di telefono dell'assistente sociale di Anis, come d'accordo.»
Uscirono in silenzio, senza parlare fra loro. Giunti nell'angusto cortiletto, scorsero Soufiane sul balcone dell'ufficio, da solo. Li stava guardando, senza osare richiamare la loro attenzione.
Lo salutarono dal basso, raccomandandogli di stare tranquillo e di comportarsi bene. «Sii forte!» gli disse C., stringendo i pugni in un gesto di incoraggiamento.
«E non scappare più!» raccomandò Isa. «Altrimenti come ti ritroviamo?»
«Sì, sì. Ma io non ho fatto niente, credimi...» Soufiane sorride di nuovo.
Il viaggio verso casa, in automobile, fu lungo e silenzioso.

Tre giorni dopo, la "casa-famiglia" di Torino telefonò a Isa, per informarla che Soufiane era scappato di nuovo e che di lui non c'erano più notizie...