mercoledì 10 ottobre 2012

Rufus - Parte seconda

Parte prima

Così l'indomani Isa andò a prendere Rufus, insieme a Luisa e Aldo.
Preparò il trasportino più piccolo e leggero e vi mise dentro il cuscino a fiori di Matilde: voleva che quel vecchio gatto non avesse paura e sentisse di possedere una nuova casa. Precauzioni inutili, perché Rufus sapeva già tutto. Forse lo aveva sempre saputo, da quella mattina d'agosto in cui aveva fatto capolino oltre la porta del lavatoio; oppure lo aveva sentito il giorno in cui Isa era andato a trovarlo al gattile. Fatto sta che, non appena lei mise la gabbietta sul pavimento e voltò le spalle per firmare i fogli dell'adozione, Rufus si infilò dentro e si sistemò comodo sul cuscino, acciambellandosi con la dignità di un anziano signore. Fu Aldo ad accorgersene e a richiamare l'attenzione di tutti i presenti su quel piccolo miracolo d'intuito felino.
Terminate le pratiche dell'adozione, Isa chiuse il trasportino e portò il gatto in macchina: le avevano raccontato che Rufus piangeva in continuazione, miagolando con quella sua profonda voce sgraziata e senza trovare pace - nonostante il cibo, le cure e i cuscini imbottiti su cui poteva riposare. Le altre volontarie raccomandarono a Isa di avere pazienza - e di rassegnarsi a quei concerti lamentosi. Isa disse a se stessa e agli altri che non sarebbero stati molto peggio delle acute recriminazioni di Cagliostro, mentre lei era al telefono...
Tuttavia, quando lo caricò sulla macchina per tornare a casa, Rufus tacque - e rimase silenzioso anche lungo tutto il tragitto fino alla "Casa dei Ranocchi": da quella sera, avrebbe smesso quasi completamente di lamentarsi, limitandosi ad emettere qualche borbottìo gentile solo al momento dei pasti. Con il trascorrere dei giorni, il vecchio gatto grigio fece di tutto per far comprendere ai suoi compagni umani che apprezzava molto la nuova sistemazione.
Intanto, tuttavia, quella prima sera c'era da superare lo scoglio della diffidenza degli altri gatti di casa: Isa non si preoccupava di Cagliostro, di cui ben conosceva la saggezza e la ponderazione. Temeva piuttosto la stizza di Emma, il timore di Matilde verso le novità e, last but not least, la malagrazia di quel bellimbusto di Victor. Perciò, giunta infine in soggiorno, aprì la porta della gabbietta con una certa trepidazione... Rufus si comportò come già aveva fatto all'ex manicomio: considerò gli altri felini con educazione, ma senza troppo interesse né accenni di aggressività. Fece un breve giro di ricognizione della stanza, le unghie delle zampe posteriori che picchiettavano sul pavimento di legno. Aveva arti lunghi e affusolati: da giovane, doveva essere stato un gatto distinto, dalla silhouette elegante - simile a quella di Cagliostro. Oggi il suo pelo era rado e spelacchiato e si apriva sulla sagoma delle ossa. Gli occhi erano spenti, le zampe e la schiena incurvate dagli anni e dalle traversie affrontate.
Gli diedero da mangiare, poi lo sistemarono sul divano e lui attaccò a fare le fusa, con gratitudine.
Emma era molto arrabbiata e studiava il nuovo ospite da lontano, ringhiando sommessamente. Matilde, spaventata, corse a rifugiarsi al piano di sopra, dietro ai libri. Cagliostro, come sempre, si comportò come se nulla fosse accaduto, sospendendo - per il momento - ogni attività di giudizio. L'unico a dimostrarsi gentile e incuriosito fu (sorprendentemente) Victor-Vittorio, che subito andò a distendersi accanto a Rufus, sul divano. Era impressionante osservare quel nerboruto gattone bianco e nero acciambellato a fianco dello scheletrico gatto tigrato. Isa li guardò con tenerezza per qualche minuto, poi andò in cucina a servire a Cagliostro il pasto della sera. «Secondo te come andrà a finire?» gli domandò. «Gli altri lo accetteranno? E lui si rimetterà - almeno un pochino?»
Ma Cagliostro, quella sera, preferì non rispondere...

Continua...

lunedì 8 ottobre 2012

Rufus - Parte prima

Ricordate bene: i gatti sanno scegliere con cura le persone da amare, quelle che - più e meglio di altre - sapranno viziarli e custodirli, soprattutto durante la vecchiaia.
Rufus era un gatto anziano, ridotto allo stremo delle forze da un acuto ipertiroidismo.
Il colore del suo pelo e le macchiette marroni che aveva ai lati del naso lo facevano assomigliare molto a Matilde - ma di Matilde non possedeva né la rotondità delle guance né la morbidezza del ventre.
Rufus era un gatto ossuto, con la pelle tirata sul cranio e gli occhi verdi aperti in un'espressione d'incredulità.
Era come se non riuscisse a credere di essere stato abbandonato in quelle condizioni, gettato nel caldo d'agosto all'interno del parco dell'ex ospedale psichiatrico, fra tutti quei gatti che non conosceva.
Isa lo vide fare capolino oltre la porta del lavatoio dove lei si trovava intorno alle undici del mattino. Capì subito, dalla sua magrezza, che non poteva trattarsi di uno dei gatti della colonia e chiamò le altre volontarie. Scoppiò subito un piccolo putiferio: di chi era quel gatto? Da dove arrivava? Chi aveva avuto il coraggio di abbandonarlo in quelle condizioni? Luisa appurò che si trattava di un maschio castrato; Isa asserì che, considerando la morbidezza dei suoi polpastrelli, molto probabilmente si trattava di un gatto abituato a vivere in casa.
Ma ciò che colpì di più Isa fu la sua pressoché totale mancanza di aggressività verso gli altri ospiti della colonia e quel suo modo gentile di girarle intorno alle gambe, miagolando con voce forte e profonda. «Sei stupito di trovarti qui, non è vero?» gli domandò Isa accarezzandogli le vertebre che spuntavano sotto la pelle della schiena. «Ma che vuoi sapere, tu, di quanto possano essere meschini gli uomini? Sei ammalato. Forse è per questo che ti hanno lasciato. Eri diventato di troppo, vecchio gatto stanco...» Rufus la guardava dal basso, ronfando rumorosamente, lasciandosi sfuggire qualche rauco miagolio. La sua docilità nei confronti di quelle persone che non conosceva era disarmante: chiunque, se avesse voluto, avrebbe potuto fargli del male. Lui non si sarebbe difeso: non ne aveva più la forza né la volontà. A Isa tornò in mente il racconto di Doris Lessing intitolato Rufus - e così decise di battezzare il vecchio gatto tigrato.
Quel gatto non aveva mai davvero creduto che non avrebbe potuto perdere questa casa ed essere costretto a cercarsi da vivere, a diventare un gatto impazzito per la sete e dolorante per il freddo. La fiducia, l'amore che aveva riposto in qualcuno, una volta erano stati così profondamente traditi, che quel gatto non aveva potuto consentirsi mai più di voler bene di nuovo. (1)
Rufus rimase all'ex ospedale psichiatrico per un paio di settimane, poi fu trasferito presso la clinica veterinaria. Lo trovarono molto disidratato e lo misero per un paio di giorni in una gabbia, per fargli qualche flebo. Lo trasportarono Isa e Luisa e, quando lo lasciarono (Rufus le fissò con quei suoi grandi occhi verdi malinconici, mentre lasciavano lo studio veterinario), a Isa venne da piangere. «Chissà che cosa farà... Chissà se avrà paura...»
«Eh già. Ma è per il suo bene, non scordiamocelo» rispose con coraggio e praticità Luisa che, in ogni caso, quella notte avrebbe pensato a lungo al povero Rufus.
Una volta dimesso dalla clinica, il vecchio gatto fu trasferito presso il gattile di V., una struttura più moderna e attrezzata, dove avrebbero potuto garantirgli cure mediche migliori.
Isa non lo vide più per quasi un mese, fino al pomeriggio in cui non fece una visita al gattile insieme a Luisa e al marito di quest'ultima, Aldo.
Rivederlo in quelle stanze - sempre così magro, stupito e miagolante - a Isa provocò una grande tristezza. Lo accarezzò a lungo, lo prese in braccio e Rufus attaccò a fare le fusa con intensità crescente. Non aveva più molte speranze, quel povero gatto: nessuno dei visitatori avrebbe mai adottato un animale stanco e ammalato.
Isa non disse nulla; ma, quella sera, mentre preparava il tavolo per la cena, disse a C.: «Io lo porto a casa».
«Ma di che parli?»
«Di Rufus. L'ho rivisto oggi, al gattile. Lo so che abbiamo già quattro gatti e che la casa è piccola. Ma lui non ha altre speranze. Ed è venuto da me, quella mattina d'agosto, te lo ricordi? E' stato lui a scegliere me; non posso deluderlo.»
C. rimase in silenzio per qualche istante, accarezzando la schiena nera di Cagliostro, come se la sericità del suo pelo potesse ispirare la più giusta decisione - e alla fine disse: «Vallo a prendere domani, allora. Se è così, meglio non aspettare ancora...»

(1) D. Lessing, Particularly Cats, trad. it. Gatti molto speciali, Feltrinelli, Milano 2008, p. 161.

Continua...

sabato 1 settembre 2012

Piccolezze

A ISA PIACE:
• Mangiare subito tutti i confetti di una bomboniera.
• Dormire col naso di Cagliostro appoggiato alla mano, mentre fuori piove.
• Stirare i panni spruzzandovi sopra un'acqua trasparente, profumata al glicine.

A ISA NON PIACE:
• Il rumore delle ciabatte di plastica, sbatacchiate qua e là sui marciapiedi da grandi incuranti piedoni.
• Chi parla a voce troppo alta.
• Guardare la tv la domenica pomeriggio.

A CAGLIOSTRO PIACE:
• Mangiare sul davanzale della cucina, in una ciotolina di metallo - e poi leccare anche il cucchiaio.
• Dormire col naso appoggiato alla mano di Isa, quando fuori piove.
• Accoccolarsi sui panni appena stirati.

A CAGLIOSTRO NON PIACE:
• Essere spazzolato una volta la settimana.
• Essere toccato da chi non conosce.
• Che un altro gatto voglia dormire accanto a lui quando si trova sul divano.

mercoledì 22 agosto 2012

Delle zanzariere rotte, della fiducia e della malinconia sottile di fine estate

Molti sono convinti che il gatto sia un animale incapace di provare affetto e che tutta la sua vita emotiva si riduca a qualche coccola interessata, prodigata per ottenere ciò che desidera: cibo, un tetto sulla testa oppure una ciotola d'acqua.
Questo modo di considerare un animale bellissimo (non vi sono altri aggettivi possibili) qual è il gatto la dice lunga sulla pochezza di gran parte del genere umano.
Personalmente non ho mai creduto all'opinione comune del gatto individualista e anaffettivo: tutti i gatti che ho conosciuto, fin da piccina, dimostravano nei miei confronti un sincero attaccamento; forse meno evidente e chiassoso rispetto a quello di un cane - ma in ogni caso innegabile. Perciò, crescendo, sono rimasta colpita nel constatare che i gatti vengono tutt'ora considerati con sospetto e malignità - e questo a dispetto della loro delicatezza e della loro incapacità di difendersi.
Anche ammesso che si possa restare insensibili al potere ipnotico e terapeutico del suo ronfare, alla lucentezza dei suoi occhi di smeraldo e citrino, alla morbidezza setosa del suo manto caldo e pulito - al di là di tutto questo... che male potrà mai fare, un gatto?
Invece, alcuni (di certo uomini e donne che hanno ben poco a cui pensare nel corso delle loro giornate) paiono convinti che questi animali siano responsabili di crimini imperdonabili (come calpestare le aiuole, scavare per ricoprire i propri bisogni ed essere veicolo di non si sa quali malattie) e si sentono autorizzati - in nome di queste convinzioni - a muovere una vera e propria guerra quotidiana ai gatti: li aspettano nascosti dietro alle persiane socchiuse per spaventarli, colpirli con la scopa o con getti d'acqua gelata; boicottano il lavoro delle gattare, riempiendo di benzina le ciotole del cibo; scrivono pamphlet dai toni acidi, prendendosela non solo con i gatti, ma anche con chi li ama («Questo articolo non mi renderà popolare tra gli amanti dei gatti, ma del resto coloro che amano i gatti sono solitamente delle ciccione con i capelli unti che puzzano di piscio di gatto e quindi chissenefrega. Ah no, dimenticavo anche i gay o gli uomini single che non hanno nessuna che li si fila. Beh… pazienza anche per loro. Ma è giunto il momento che qualcuno lo dica: IO ODIO I GATTI» mi è capitato di leggere un giorno, con raccapriccio, sul Web [1]). I peggiori, infine, arrivano addirittura alla violenza, picchiando o uccidendo queste bestiole discrete che, in genere, ben poco si curano delle idiosincrasie umane e gradirebbero solo essere lasciate in pace.
Ripenso alle strane opinioni che molta gente aveva su questi animali: erano creature egoiste e incapaci di offrire l'amore disinteressato di un cane. Erano creature indipendenti e circospette che badavano solo al proprio interesse. Che sciocchezza! Mi sono sentito sfregare la faccia da musi di gatto e sfiorare la guancia da zampine con le unghie accuratamente ritratte. Queste, a parer mio, sono espressioni d'amore. (2)
Pochi giorni fa, ho assistito alla dimostrazione concreta di quanto sia infondato il luogo comune secondo cui i gatti sarebbero incapaci di stabilire con i propri compagni umani un rapporto d'amore, fiducia e collaborazione.
Con l'arrivo dell'estate e della canicola, nella nostra piccola casa sul canale abbiamo aperto tutte le finestre, abbassando le zanzariere per proteggerci dai numerosi insetti provenienti dalle risaie.
Inutile precisare che le nostre reti sono tutte graziosamente "ricamate" dalle unghie dei gatti, che - col trascorrere dei mesi primaverili ed estivi - si sono aperti in esse dei piccoli varchi per accedere ad entrambi i cortili.
Così, C. ha pensato di costruire delle seconde zanzariere, fisse, da applicare in aggiunta a quelle scorrevoli già esistenti, in modo da avere un controllo (illusorio!) sulle entrate e le uscite dei nostri amati felini.
Né lui né io avremmo mai pensato che Victor (l'atletico e nerboruto ex-randagio) sarebbe riuscito a rompere anche quelle...
In particolare, un mattino d'agosto Victor-Vittorio decise di rientrare dalla sua passeggiata saltando dal muretto di recinzione del cortile posteriore alla finestra del bagno - credendo che i vetri fossero aperti e la zanzariera facilmente sollevabile. Per contro, una volta spiccato il balzo, si trovò davanti la seconda zanzariera costruita da C., ancora abbastanza integra - nonostante i precedenti assalti di Matilde. Victor vi rimase aggrappato, con uno spazio esiguo per appoggiare le zampe posteriori.
Richiamata dai rumori provenienti dal bagno, andai a vedere cosa stesse succedendo: trovai parte della rete di protezione rotta e ripiegata su se stessa come la pagina di un libro sfogliato e il mio gattone bianco e nero appeso a quanto ne restava, con le zampette che scivolavano sul vecchio intonaco del davanzale. Sul suo musetto serio, un'espressione di evidente preoccupazione: non era un gran salto, di certo non pericoloso per un gatto tanto agile (il bagno si trova al primo piano), ma era evidente che Victor preferiva risparmiarselo.
Mi sono avvicinata lentamente, riflettendo sul da farsi: Victor è un gatto nervoso - che non ha ancora imparato a fidarsi del tutto degli esseri umani. Lo spaventano i rumori e i gesti improvvisi e non gli piace essere manipolato. Ho pensato che, se avessi sollevato la zanzariera interna e tentato di prenderlo in braccio per portarlo al sicuro, avrebbe potuto fraintendere le mie intenzioni, reagire con violenza e andare incontro a una caduta peggiore rispetto a quella che gli sarebbe comunque toccata in sorte, non appena avesse esaurito le forze. Tuttavia, Victor mi stava fissando in maniera eloquente, chiedendomi aiuto e, perciò, senza esitare ancora, sganciai la zanzariera interna, la feci salire e abbassai la rete (già rotta) della seconda, per dare al gatto un appiglio migliore. Quindi gli misi una mano sulle spalle. Victor non si mosse e io riuscii ad afferrarlo saldamente, a sollevarlo e a trasportarlo dentro la stanza. Da parte sua, nessuno scatto, nessun tentativo di liberarsi: anzi, per qualche minuto restammo abbracciati - io con le mani intorno al suo corpo morbidissimo e lui con la testa abbandonata sulla mia spalla, a respirare con affanno, a causa dello sforzo sostenuto.
Semplicemente, il mio bel gattone indipendente aveva deciso di fidarsi di me nel momento del bisogno e di credere, senza alcuna reticenza, che io lo avrei tratto in salvo, senza tradire il suo affetto.
Fu un momento di grande tenerezza e, per me, di profonda soddisfazione.
Mi tornarono alla mente le belle parole di Doris Lessing, scritte in conclusione del suo Particularly Cats:
Quando si conoscono i gatti, quando si è passata una vita insieme ai gatti, quel che rimane è un fondo di sofferenza, un sentimento del tutto diverso da quello che si deve agli umani: un misto di dolore per la loro incapacità di difendersi, e di senso di colpa a nome di tutti noi. (3)
In fin dei conti, che cos'è il nostro amore per i gatti - per gli animali - se non una parentesi di affetto, scritta e mantenuta nel silenzio. Eppure a me piace pensare che siano questi piccoli gesti di ogni giorno a rendere migliore la mia realtà, la mia vita da nulla - e quindi, seppure in minima parte, anche la vita di questo grande, stupido e magnifico mondo.

(1) Dal sito Latitanza.it.
(2) J. Herriot, Cat Stories, trad. it. Storie di gatti, BUR, Milano 2010, p. 9.
(3) D. Lessing, Particularly Cats, trad. it. Gatti molto speciali, Feltrinelli, Milano 2008, p. 161.

venerdì 29 giugno 2012

La sublime arte del distacco

Il caldo di quegli ultimi giorni di giugno era snervante.
Al rifugio dell'ex ospedale psichiatrico, i gatti erano litigiosi e inquieti. A casa, Cagliostro, Emma, Matilde e Vittorio si sdraiavano silenziosi negli angoli più freschi e spiluccavano il cibo distratti.
In ogni caso - fosse per l'afa o a causa della lentezza con cui (non) procedevano i lavori di ristrutturazione della nuova casa - Isa sentiva di essere particolarmente irritabile e mal disposta verso tutti coloro che si permettevano di farle la predica o di interferire in qualche modo con la sua vita.
Il guaio era che di persone di tal risma è pieno il mondo - e Isa avrebbe dovuto sapere che abbassare la guardia è pur sempre rischioso.
Nel giro di un paio di settimane, fu spettatrice attonita di una serie di sgraditi eventi: dalle proposte assurde di infidi parenti ai commenti indesiderati di un'(ex) amica rediviva, passando per i cacciatori che (fuori stagione e in pieno centro abitato) si permettevano di portare i loro sgraditissimi fucili a breve distanza dal giardino di Isa, nel detestabile tentativo di stanare e uccidere una povera volpe che non aveva mai dato fastidio a nessuno.

Per mitigare questo crescente nervosismo, Isa si dedicava al cucito - un'attività che le permetteva di tenere le mani e la mente impegnate e che le consentiva di starsene seduta tranquilla, nel fresco soggiorno della Casa dei Ranocchi.
Cagliostro come sempre le faceva compagnia - unico fra i quattro gatti che non tentasse di lacerare la stoffa su cui la donna stava lavorando e non rubasse i rocchetti di filo. Spesso il gatto si sedeva sulla finestra della cucina e trascorreva ore intere a osservare i campi che si estendevano oltre il cortile. A volte, però, decideva di andare a curiosare che cosa stesse facendo la sua amatissima compagna umana e allora si sistemava composto sul tavolo - la coda ben ripiegata sulle zampe, il collo e la testa diritti. In quei momenti, era di un'eleganza impeccabile - e lui, ovviamente, lo sapeva benissimo.
Fu in uno di quei pomeriggi che Isa si lasciò scappare un sospiro e un'esclamazione spazientita. Aveva appena finito di raccontare al gatto le ultime nequizie in cui era incappata e ora si stava dedicando con particolare tenacia a tagliare l'imbastitura della gonna nera a cui lavorava.
«Ti invidio, lo sai?»
Cagliostro socchiuse gli occhi color smeraldo, come a dire che, sì, lo sapeva.
«Tu riesci a non lasciarti coinvolgere troppo dalle cose... riesci a tenere tutti a debita distanza, pur continuando ad amare e ad essere amato.»
Era vero: Cagliostro (non a caso ribattezzato da Isa "il Guardiano di Soglia") era maestro più di ogni altro gatto nella sublime arte del distacco.
Non era un gatto "freddo" né selvatico. Semplicemente non amava chi (animale o umano che fosse) non sapeva stare al proprio posto e chiunque gli rivolgesse complimenti non desiderati o si azzardasse a disturbare il suo riposo.
Victor-Vittorio, da bravo ex randagione, era più incline a sopportare le effusioni di Isa e degli altri gatti, privato com'era stato per diversi anni di qualsiasi contatto affettuoso. Matilde era dolce e mite e non si ribellava mai alle grattatine sulla testa o alle carezze sui fianchi. Se attaccata dagli altri gatti, dopo aver assestato qualche decisa zampata, semplicemente andava a nascondersi sotto il tavolino del soggiorno. Quanto a Emma, lei era troppo combattiva per evitare di gettarsi nella mischia. Così, non di rado finiva col buscarle di santa ragione - e allora batteva in ritirata miagolando furibonda.
Solo Cagliostro riusciva ad essere (con estrema naturalezza) amatissimo e al tempo stesso insopportabile; pignolo e adorabile; distaccato, lontano e, al contempo, vicinissimo a tutti gli abitanti della casa...
Isa non scherzava, quando diceva di invidiarlo.
Le tornava in mente il saggio sulla scrittura di Anne Lamott, letto in quei giorni e che ancora faceva bella mostra di sé sul comodino da notte: «Non bisogna sprecare la vita con persone che ci tengono col fiato sospeso (2)», sosteneva la scrittrice americana. E Isa era convinta di aver concesso a simili individui buona parte della propria esistenza. Era arrivato il momento di cambiare. Era giunto il momento di prendere a modello i gatti che (seppure in maniera diversa) non rinunciavano mai a difendere i loro spazi e la loro dignità.

(1) A. Lamott, Bird by bird. Some instructions on writing and life, trad. it. Scrivere, DeAgostini, Novara 2011, p. 176.

giovedì 14 giugno 2012

I gatti dell'ex manicomio - Parte terza

Parte seconda

... "certe questioni", tuttavia, esercitavano da sempre su Isa una malìa bizzarra.
Perciò, durante uno dei giovedì mattina trascorsi con Federica a ripulire le stanze del primo padiglione, Isa raccontò all'amica quanto letto in rete e sui giornali.
«Lo sapevo» rispose Federica, armata di guanti e spazzolone, continuando a lavorare. «Sai, qui le voci corrono... Noi» (e con "noi" intendeva il piccolo drappello di disciplinatissime gattare che gestiva la colonia da molto tempo prima dell'arrivo di Isa) «questo posto lo abbiamo girato in lungo e in largo: siamo state nei padiglioni più diroccati, nelle cantine, nelle soffitte... Non abbiamo mai visto niente. Niente di niente. Né ci è mai successo nulla.»
Isa sorrise, pensando di essersi lasciata suggestionare. Stava quasi per cambiare argomento, quando Federica aggiunse: «Per quanto... quando i gatti erano nell'altro padiglione (quello più in fondo... sai che abbiamo dovuto spostarli - te l'ho già raccontato)...»
«Che cosa è successo?»
«Ecco, c'erano alcuni gatti che non volevano stare di là. E altri che si comportavano in modo strano.»
«Ad esempio?»
«Ad esempio Pelliccia: lei non si lasciava toccare, quando eravamo nell'altro padiglione. Poi, quando l'abbiamo trasferita qui, insieme agli altri, è cambiata - da così a così.» E fece un gesto eloquente con la mano.
Isa conosceva bene Pelliccia, una vecchietta a pelo lungo, tigrata e affettuosissima: era tra le sue preferite, fra loro si era creata una simpatia istantanea, un'adorazione reciproca fatta di miagolii soffocati e parole pronunciate sottovoce.
Pelliccia seguiva Isa ovunque e, non appena la donna si sedeva su una sedia o sulla panchina del giardino, la gatta non esitava a sistemarsi sulle sue ginocchia, ronfando sonoramente.
Isa non riusciva proprio a immaginare una Pelliccia schiva e selvatica e non riusciva a capire come un semplice trasloco avesse potuto renderla la gatta tranquilla e socievole che conosceva.
«A meno che tu non captassi qualcosa, con quelle tue vibrissette!» le disse scherzosa, mentre le accarezzava la schiena, tornando col pensiero al bisnonno Carlo e ai soldati uccisi.
«Comunque, è per via dell'eccidio... Quello dei soldati fascisti. Dicono che li abbiano seppelliti qui. Non sai quanto è grande, questo posto.»
Isa, in effetti, non ne aveva che una vaga idea. Si ripromise, perciò, di effettuare il prima possibile un giro di ricognizione di tutta la struttura e del parco che la circondava, armata di macchina fotografica e di blocchetto per gli appunti.
Dopotutto, in quel vecchio ospedale psichiatrico era racchiuso anche un pezzo della sua storia familiare.
«Che cosa dici, Pelliccetta? Andiamo in esplorazione?» domandò alla gatta, in piedi di fronte a lei sopra il tavolino del corridoio. La gatta le rispose con un miagolio appena accennato, fissandola intensamente con l'occhio buono che le era rimasto...

Pelliccetta...
Continua...


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giovedì 7 giugno 2012

I gatti dell'ex manicomio - Parte seconda

Parte prima

L'ex ospedale psichiatrico era una vasta struttura dipinta di verde. Era immersa in un grande parco ora in decadenza e comprendeva una quindicina di nuclei. Due di essi erano occupati da uffici pubblici, mentre gli altri erano abbandonati. Il freddo, le intemperie e il trascorrere del tempo avevano fatto sì che i vetri delle finestre si rompessero e l'intonaco dei davanzali, dei cornicioni e delle facciate cadesse a pezzi.
Intorno al padiglione più vicino all'ingresso laterale di sinistra (quello che si era conservato in miglior stato), si erano radunati i gatti della colonia. Una sessantina in tutto, di ogni colore, taglia e grado di socievolezza.
Isa si era documentata sulla storia dell'ospedale, per conciliarla con quella del bisnonno Carlo.
In città si diceva che fosse infestato dai fantasmi: ragazzini dalla fantasia sovreccitata raccontavano di averli visti passeggiare nel parco, lungo ciò che restava dei viali, e di averli sentiti piangere e lamentarsi. Isa era convinta che avessero udito piuttosto le voci dei gatti, impegnati in qualche gustoso diverbio.

L'ex ospedale psichiatrico di V.

Tuttavia, su Internet e su alcuni vecchi giornali, aveva letto dell'esecuzione di una sessantina di soldati della Repubblica Sociale Italiana ad opera di un gruppo di partigiani, avvenuta nel maggio del '45.
Le fonti non fornivano dati certi sull'episodio, gli stessi resoconti degli storici locali erano discordanti. Ciò che per certo si sapeva era che i militari erano stati prelevati presso lo stadio di Novara (dove era stato allestito un campo di prigionia improvvisato) dalla Brigata "Pietro Camana" e suddivisi in due gruppi: undici di loro erano stati condotti nel paese di L. e qui fucilati; altri erano stati uccisi proprio nell'ospedale psichiatrico e altri ancora erano stati condotti a G. I corpi non furono mai ritrovati.
Isa non era certa che si potesse parlare di fantasmi e un mattino, mentre stava seduta al sole, davanti all'ingresso, ad aspettare Federica, ne chiese notizia ai gatti. «Che dite, voi l'avete mai visto uno spettro? Qualche soldato che avesse la consistenza di un lembo di nebbia... Oppure magari avete visto nonno Carlo! Lui dovrebbe essere un fantasma molto tranquillo...»
Ma i gatti vollero tenerla sulle spine e non risposero. La bellissima Pupetta si limitò a strizzare gli occhi verdi e Vicky le strofinò affettuosamente la testolina sul ginocchio - come a dire che non doveva preoccuparsi di certe questioni...

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venerdì 11 maggio 2012

I gatti dell'ex manicomio - Parte prima

Viene il mattino azzurro
nel nostro padiglione:
sulle panche di sole
e di crudissimo legno
siedono gli ammalati,
non hanno nulla da dire,
odorano anch'essi di legno,
non hanno ossa né vita,
stan lì con le mani
inchiodate nel grembo
a guardare fissi la terra.
(1)

Esistono luoghi a cui siamo destinati. Luoghi testardi, che ritornano nelle nostre vite e in quelle dei nostri cari con insistenza - quasi con petulanza. Luoghi feroci, luoghi dolcissimi, luoghi che (ci piaccia o meno) non possiamo ignorare.
Isa conosceva bene la storia del bisnonno Carlo: gliel'aveva raccontata suo nonno Fernando, in una lettera scritta a mano qualche anno prima. Isa gli aveva chiesto di annotare su un taccuino qualche esperienza significativa della sua vita, per farne un racconto; Fernando, obbediente, si era messo a scrivere - ma, più che singoli episodi eclatanti, aveva messo insieme la trama della sua esistenza. In quelle riflessioni, Fernando aveva raccontato anche del padre Carlo, uomo brillante, dalla risata contagiosa e appassionato delle corse in bicicletta e di come venne rinchiuso al manicomio di V. - in quello che la gente della città e dei paesi limitrofi chiamavano "il repartino".
Un dramma silenzioso, compiuto grazie alla volontà e alla complicità dell'austera moglie Claudia. Un'ingiustizia destinata a restare invendicata - perché Carlo non era pazzo e in paese lo sapevano tutti. Ne era al corrente perfino la famiglia: i fratelli, le cognate, le tre figlie. Lo sapeva anche Fernando, l'unico figlio maschio, che pure era stato troppo debole per opporsi alla volontà della madre. Chissà, forse era stato quello - negli anni - il suo grande cruccio.
Lo sapevano perfino i dottori - se è da ritenersi veritiero l'episodio (raccontato negli scritti del nonno di Isa) in cui il giovane Fernando, andato all'ospedale per visitare il padre, ebbe un colloquio con il medico di turno, che gli mise una mano sul braccio e, senza guardarlo in viso, gli confessò: «Guardi che suo padre non ha proprio nulla».
Era diventato scomodo, Carlo, in quella famiglia quasi tutta al femminile - unico maschio capace di contrastare il volere di Claudia e la sua propensione a dilapidare il patrimonio in offerte alla Chiesa. Chissà cos'altro era accaduto in quella casa... chissà quante cose aveva taciuto Fernando - per pigrizia o per dolore.
Ciò che si sapeva di certo era che Carlo, in quel manicomio, ci era morto.
La luna s'apre nei giardini del manicomio,
qualche malato sospira,

mano nella tasca nuda.
La luna chiede tormento

e chiede sangue ai reclusi:

ho visto un malato
morire dissanguato
sotto la luna accesa.
(2)
Isa, quella storia, la conosceva da sempre (raccontata a mezza bocca da suo padre - che aveva sempre nutrito dubbi sulla "malattia mentale" di nonno Carlo - e infine confermata dalla lunga lettera di Fernando); eppure, come spesso succede con ciò che ci appartiene per nascita, non vi aveva mai fatto molto caso. Scioccherella com'era, non aveva mai neppure pensato di scriverci una storia, un raccontino, una poesiola. (Non un romanzo; ché per quello sarebbe occorsa una perseveranza di cui Isa non era dotata.) 
L'evidenza del destino la colpì solo quando incontrò l'amica Federica e questa le propose di trascorrere qualche ora della settimana a fare volontariato presso un rifugio di gatti, a V. Isa accettò di buon grado e, quando apprese che la colonia era situata presso il parco (ormai incolto, decadente) dell'ex ospedale psichiatrico, impiegò qualche istante per riaversi dalla sorpresa: dopo tutti quegli anni, sarebbe andata a far visita al bisnonno Carlo...

Continua...

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(1) A. Merini, La Terra Santa, in Vuoto d'amore, Einaudi, Torino 1991, p. 121.
(2) Ivi, p. 109.

venerdì 2 marzo 2012

Il giardino dei gatti ostinati e altre storie

La città dei gatti e la città degli uomini stanno l'una dentro l'altra, ma non sono la medesima città. Pochi gatti ricordano il tempo in cui non c'era differenza: le strade e le piazze degli uomini erano ancora strade e piazze dei gatti, e i prati, e i cortili, e i balconi, e le fontane: si viveva in uno spazio largo e vario. Ma già ormai da più generazioni i felini domestici sono prigionieri di una città inabitabile. (1)
Isa era convinta che i gatti non fossero gli unici prigionieri delle città senza sole. Per questo aveva scelto di trasferirsi in campagna, andando controcorrente rispetto ai desideri dei suoi coetanei, che rincorrevano sogni di gloria e contratti a progetto nelle metropoli.
Lei no. Aveva preferito il silenzio dei campi in inverno e la frenesia degli insetti in primavera.
Certo, anche la campagna era cambiata: non era più quella di sua nonna, quando si raccontavano storie di masche nelle stalle e si andava a ballare una volta a settimana al "Coniglio Nero". Tuttavia, restava un luogo ancora vivibile, tanto per Isa quanto per i suoi gatti.
Ma la città...
... le vie ininterrottamente sono corse dal traffico mortale delle macchine schiacciagatti; in ogni metro quadrato di terreno dove s'apriva un giardino o un'area sgombra o i ruderi d'una vecchia demolizione ora torreggiano condomini, caseggiati popolari, grattacieli nuovi fiammanti; ogni andito è stipato dalle auto in parcheggio; i cortili a uno a uno vengono ricoperti d'una soletta e trasformati in garages o in cinema o in depositi-merci o in officine. E dove s'estendeva un altopiano ondeggiante di tetti bassi, cimase, altane, serbatoi d'acqua, balconi, lucernari, tettoie di lamiera, ora s'innalza il sopraelevamento generale d'ogni vano sopraelevabile: spariscono i dislivelli intermedi fra l'infimo suolo stradale e l'eccelso cielo dei super-attici; il gatto delle nuove nidiate cerca invano l'itinerario dei padri, l'appiglio per il soffice salto dalla balaustra al cornicione della grondaia, per la scattante arrampicata sulle tegole. (2)
Né alla gente importava qualcosa, se gli spazi in cui si ritrovava a vivere erano diventati prigioni dorate per gli uomini stessi - e inferni miserevoli per gli animali. La gente era cieca, sorda, inebetita dal chiasso del quotidiano.
Solo qualche strega moderna sopravviveva (impavida, combattiva, disperata) e dava rifugio a cani, gatti e uccelli in fuga dal cemento:
Tutte le amiche dei gatti convenivano a quell'ora attorno al giardino delle foglie secche per portare da mangiare ai loro protetti.
«Ma, ditemi, perché stanno tutti qua, questi gatti?» s'informò Marcovaldo?
«E dove vuole che vadano? Solo questo giardino, c'è rimasto! Vengono qui i gatti anche dagli altri quartieri, per un raggio di chilometri e chilometri...»
«E anche gli uccelli» interloquì un'altra, «su questi pochi alberi, si sono ridotti a viverci a centinaia e centinaia...»
«E le rane, stanno tutte in quella vasca, e la notte gracidano, gracidano... Si sentono anche dal settimo piano delle case intorno...»
«Ma di chi è, questa villetta?» chiese Marcovaldo. [...]
«E' d'una marchesa, che ci abita, ma non si vede mai...»
«Le hanno offerto milioni e milioni, le imprese edilizie, per questo pezzettino di terreno, ma non vuole vendere...»
(3)
Isa si sentiva sollevata al pensiero che, fra migliaia di distratti, esistessero persone capaci di accorgersi della vita che si ostinava ad affermarsi intorno a loro. Persone che, come M., osservavano attentamente il volo delle api e delle falene o che, come Marco, stavano appostate per lunghi istanti, nell'attesa di veder sbucare il solito gatto randagio dall'angolo del cortile...
Proprio a Marco la fece pensare il racconto di Calvino - e alle cronache semiserie che le faceva ogni giorno, a proposito della Banda del Guercio e delle sue scorribande amorose...


Continua...


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(1) I. Calvino, Marcovaldo, Mondadori, Milano1993, p. 112.
(2) Ivi, p. 112.
(3) Ivi, p. 119.

venerdì 17 febbraio 2012

Giornata Mondiale del Gatto


Tra i popoli di cultura latina, il giorno 17 è considerato nefasto (il 17 in lettere diviene XVII che, anagrammato, forma la parola VIXI, che vuol dire "vissi", cioè "sono morto"); per i popoli anglosassoni e della mitteleuropa significa invece "sono vissuto". Le sette vite del gatto sono perciò simbolo di reincarnazione e vittoria sul malocchio. Il 17 febbraio è quindi la Festa del Gatto.

(Da I giorni dei gatti • Agenda 2012)


Nel corso della sua esistenza, Isa ne aveva sentite parecchie di scempiaggini a proposito dei gatti: i loro detrattori (che in genere non avevano mai convissuto con un gatto un solo giorno della loro vita) affermavano con sicurezza che fossero egoisti, calcolatori, girovaghi impenitenti, insensibili opportunisti, equilibristi infallibili, portatori di ogni tipo di sventura e malattia.
Perciò, le era capitato spesso di discutere e argomentare, nel (vano) tentativo di far comprendere ai suoi interlocutori quale fosse la reale natura di quei piccoli, silenziosi compagni - così discreti e dignitosi, a dispetto della volgarità del mondo.
A volte si era perfino arrabbiata, perdendo la pazienza di fronte a quella debolezza tutta umana di ragionare per luoghi comuni.
C'erano però occasioni (come quella di un venerdì mattina di sole, dopo molti giorni di freddo e di neve) in cui non aveva desiderio di parole e sapeva di poter lasciar correre: che gli altri credessero ciò che volevano. A lei bastava la soddisfazione derivatale dal dialogo sotterraneo col suo Guardiano, dalla tenerezza disarmante di Matilde, dall'indole onesta e battagliera di Emma e dalla gratitudine timorosa di Victor-Vittorio - che stava guadagnando peso e una bella pelliccia lucida...

Sentì di essere loro riconoscente, per quella modesta serenità d'ogni giorno. Li accarezzò con tocco leggero, per non destarli dal torpore del mattino - e poi tornò alle sue faccende...

A tutti i gatti e le gattare di questo mondo, perché rendono il mondo un luogo più poetico in cui vivere.
Quando si conoscono i gatti, quando si è passata una vita insieme ai gatti, quel che rimane è un fondo di sofferenza, un sentimento del tutto diverso da quello che si deve agli umani: un misto di dolore per la loro incapacità di difendersi, e di senso di colpa a nome di tutti noi. (1)
 (1) D. Lessing, Gatti molto speciali, Feltrinelli, Milano 2008, p. 161.

mercoledì 1 febbraio 2012

Victor, il pirata - Parte seconda

Parte prima

A partire da quel momento, Victor (che C. avrebbe voluto battezzare "Milo" e che la madre di Isa si ostinava a chiamare "Romeo") iniziò a prendere sempre più confidenza con la casa e con le persone che vi abitavano.
Non restava che presentarlo agli altri gatti - ciò che Isa temeva avrebbe potuto creare problemi. Immaginava soffi, spruzzi d'urina su gerani e verbene, gnaolii indispettiti, fughe e zampate fulminee.
Au contraire, poiché (come s'è detto all'inizio di questo raccontino da nulla) i gatti si deliziano a stupirci e a far carta straccia delle nostre aspettative, non accadde nulla di tutto questo - ed è inutile dire che Isa ne fu gradevolmente sorpresa: i gatti, per dirla con franchezza, s'erano stancati della sua titubanza e avevano deciso di tagliare corto con i convenevoli.

Victor, fino a quel momento, aveva limitato le proprie visite al cortile sul retro, a cui Emma, Cagliostro, e Clizia non avevano accesso. Lì veniva nutrito, coccolato e controllato nei suoi parassiti e mai gli era capitato di accedere alla casa attraverso il cortile principale. Isa e C. non lo avevano mai visto per strada e pensavano che, da buon randagio, preferisse la vita avventurosa dei campi e delle stradine in terra battuta. Dovettero ricredersi.
Un giorno d'estate, mentre stavano pranzando, decisero di lasciare uscire i loro gatti, in modo che prendessero un po' di sole. Quando vollero raggiungerli, li trovarono in compagnia del nuovo ospite, intenti a memorizzare l'olezzo delle sue ghiandole cutanee.
Per qualche mese, i rapporti fra i gatti di casa e il fiero randagio furono abbastanza distesi. Isa notava che Cagliostro tendeva a girare al largo da quel gattone bianco e nero, dalla muscolatura massiccia, ma non giunsero mai allo scontro diretto.
Passò l'estate e con essa se ne andò il piccolo Mickey. Superato il dolore di quella prima perdita, Isa iniziò a pensare seriamente alla salute di Victor-Vittorio (come ormai amava chiamarlo, con vezzo da cinefila): un clamoroso attacco di tenia lo aveva fatto dimagrire vistosamente all'inzio della stagione e, per giunta, le sue frequenti scorribande amorose lo esponevano al rischio di contrarre gravi malattie...
Arrivò l'autunno e con esso (ahinoi, gentile lettore!) la malattia inaspettata di Clizia. Isa pianse molto la dipartita della sua gatta più bella (così sfortunata...) e quell'ultimo distacco la fece muovere con maggiore decisione: Victor-Vittorio doveva essere sterilizzato e portato a vivere insieme agli altri, in casa. Dopotutto, non era crudele osservarlo mentre se ne stava seduto sul davanzale esterno della finestra, col pelo umido delle nebbie di dicembre, ad attendere che lei o C. uscissero a dargli da mangiare, mentre gli altri tre (nel frattempo era arrivata anche la piccola Matilde) oziavano al caldo, acciambellati su una sedia o distesi sul divano?
Così, Isa un mattino lo catturò, lo infilò dentro una gabbietta robusta e lo portò al dottor L., per la castrazione e i test necessari ad assicurare che non fosse malato né di FIV né di FELV.
Il responso fu positivo: Vittorio pesava quattro chili e cinquecento grammi, era sanissimo e poteva essere introdotto in casa, insieme agli altri gatti.
Isa credeva che l'inserimento sarebbe stato facile: dopotutto i quattro felini già si conoscevano...

Victor. Altrimenti detto
Victor-Vittorio Behemoth I, il Pirata

Ancora una volta, tuttavia, dovette rendersi conto che non è saggio fare previsioni - quando ci sono di mezzo i gatti.
Victor, infatti (dopo un paio di giorni di degenza trascorsi in assoluta tranquillità), abbandonò presto l'atteggiamento dimesso del randagio, sempre pronto a fare le fusa ed essere grato per il pasto ricevuto, e mise su un'aria da bullo che destò in Isa non poche preoccupazioni.
Era evidente che l'intento del nuovo arrivato era di conquistare le posizioni migliori all'interno della casa e che, per farlo, era pronto a utilizzare tutte le armi a sua disposizione, acquisite negli anni che aveva trascorso in mezzo alla strada: forza fisica, zampate poderose e sguardi minacciosi.
Emma, da quell'equilibrista che era, non si lasciò destabilizzare: rispose alla violenza di Victor con una determinazione guerresca, con certe soffiate e certi miagolii furiosi che Isa non sapeva se essere più preoccupata per la sua gatta o per il pirata dal naso nero.
Matilde, la piccola di casa, non si scompose: nonostante andasse ormai per i nove mesi, aveva conservato in parte l'atteggiamento, le forme e la voce di quando era poco più che una cuccioletta e questo le garantiva la totale protezione di Isa e una certa condiscendenza da parte di Victor. Quando, poi, quest'ultimo esagerava, la micetta sapeva farsi valere, rivelando una buona dose d'astuzia e una grinta insospettabile, nascoste dietro alle movenze aggraziate e allo sguardo innocente.
Chi risentì di più della nuova situazione fu Cagliostro - e Isa ne soffrì enormemente. Abituato ad essere il Principe, il Vezzeggiato, non riusciva a capacitarsi che un altro maschio fosse penetrato nel suo dominio e che, per giunta, non esitasse ad usare le maniere forti contro di lui, per rubargli il cuscino, il posto sul divano o, peggio, la ciotola del cibo.
Quando Victor lo metteva all'angolo per affermare la sua supremazia, Cagliostro (a differenza di Emma e Matilde) non reagiva. Si limitava ad appiattire le orecchie e a gridare intimorito. Sapeva di essere più esile di Victor e temeva lo scontro.
Quando lo sentiva miagolare, Isa correva in suo soccorso e, sollevandolo tra le braccia, sentiva il suo cuore battere all'impazzita. Cagliostro non era indispettito dalla presenza di Victor; era spaventato.
«Che facciamo?» domandava Isa a C. «Non possiamo rimettere Victor fuori dalla porta, non sarebbe giusto. Ma non possiamo neppure costringere Cagliostro a vivere in questo modo dentro casa sua!»
C. le raccomandava di avere pazienza - ma Isa non era incline ad averne... non quando si trattava del suo adorato Cagliostro, il guardiano, la sua più grande compagnia...

Inutile negarlo: molti gatti, in una situazione simile, ne avrebbero fatto un dramma. Vi sono numerose testimonianze (i libri di Vicky Halls (1), tanto per fare un esempio, ne sono pieni!) di felini terrorizzati o mortalmente offesi, che trascorrono le loro giornate sotto al letto, pur di non incrociare il nuovo venuto. Si racconta di materassi e coperte intrisi d'urina, di serie ferite agli occhi, agli orecchi. Ebbene, nulla di tutto questo accadde nella casa di Isa e C.
Nel nostro caso, infatti, Emma, Cagliostro e Matilde si misero semplicemente d'accordo (con quell'intelligenza sottile che è tipica degli animali e di cui molto spesso noi uomini ci meravigliamo senza ragione) per arginare l'irruenza di Vittorio, facendogli capire quale fosse il posto che gli spettava e che lì, nella "Casa dei Ranocchi", non c'era nessun bisogno di combattere per ottenere cibo, comodità e una buona dose di amore.
Ciascuno lo fece a suo modo: Emma e Matilde a suon di ceffoni ben assestati, Cagliostro esercitando l'arte del distacco (in cui era maestro) e ostentando il rapporto privilegiato che intratteneva con Isa (anche questo gli riusciva molto bene...).
In capo a due settimane, C. notò che i suoi gatti sembravano più sereni e distesi, che non di rado si concedevano di giocare e dormire tutti insieme e che Isa sembrava essersi tolta un gran peso dal cuore...

(1) Nota comportamentalista, autrice dei bestseller Cat Confidential e Cat Detective.

giovedì 12 gennaio 2012

Victor, il pirata - Parte prima

I gatti amano tenerci sulle spine - Isa ne era convinta.
Non aveva forse dedicato interi pomeriggi nel tentativo di preparare Atena all'arrivo di Mickey? Quando il Professore e sua moglie non erano in casa, Isa vi portava il cagnolino, apriva poco alla volta la porta del bagno (regno incontrastato della gatta matrona) e permetteva alla bellicosa di sbirciare dalla mensola del termosifone lo sguardo angelico del suo futuro coinquilino. (Consapevole del fatto che fosse Atena a comandare in quella casa, Mickey rivolgeva a lei tutte le sue speranze di ospite di un canile sovraffollato...)
"Chissà come la prenderà" pensava Isa, mentre il giorno dell'adozione definitiva di Mickey si avvicinava. "Gli farà del male? Lo graffierà?"
Era tanto angosciata al pensiero della possibile reazione funesta di Atena che rimase di stucco - letteralmente - quando la gatta, la sera in cui Mickey fece il suo ingresso nella casa del Professore, non si degnò neppure di voltarsi verso il nuovo arrivato, preferendo di gran lunga dedicarsi alla distruzione di uno scatolone, ultimo residuo delle festività natalizie appena trascorse. Fra Mickey e Atena, il patto di non belligeranza durò quattro anni - fino alla morte di lei.
Anni dopo, con Emma, Isa aveva temuto di complicare una situazione già di per sé difficile - quella fra Clizia (cieca e ammalata d'insufficienza renale cronica) e Cagliostro: introdurre un terzo gatto non sarebbe stato un azzardo? Il risultato fu un equilibrio perfetto e un amore grandissimo fra Cagliostro e la piccola "equilibrista" dalle zampe bianche. Crescendo, Cagliostro si era rivelato d'animo contemplativo, mentre Emma, al contrario, affrontava la vita con coraggio e ardimento, allo stesso modo in cui non sapeva rinunciare alle sue scorribande sui tetti, fra la polvere e i piccioni: le loro nature opposte sembravano completarsi e trovare reciproca soddisfazione.
Tuttavia, proprio a causa della vivacità di Emma, Isa era stata incerta, al momento di adottare Matilde, se scegliere una femmina oppure un maschio. Al gattile di Stefania, dopotutto, c'era l'imbarazzo della scelta - e "Fenomeno" era un meraviglioso maschietto tigrato, che sembrava intenzionato a conquistare il cuore di C.
Combattuta, aveva riflettuto in fretta - e infine aveva deciso che Emma, dopotutto, aveva un cuore tenero sotto la sua scorza da avventuriera e non avrebbe avuto problemi ad accettare in casa la piccola e delicata Matilde. Oltretutto, una vocina interiore le suggeriva che Cagliostro (il Principe, il Preferito) mal avrebbe accettato l'arrivo di un concorrente.

A proposito del suo prediletto, Isa scriveva sul diario:
Cagliostro è molto cambiato, nell'ultimo anno. E' meno esuberante, meno chiassoso. Ha mantenuto la sua voce poderosa, acuta, ma ora la usa con ponderazione. Colloquia con me quando siamo soli - o quando ce n'è veramente bisogno.
Sono meno frequenti anche le sue manifestazioni d'affetto. Da piccolo, ronfava sonoramente non appena veniva accarezzato. Oggi preferisce reclinare la testolina con gentilezza ogni volta che riceve un complimento, riservando le fusa (leggere, più simili a un fruscìo che a una vibrazione) per la notte quando, nel buio della camera da letto e lontano dalle orecchie indiscrete degli altri gatti, sa di potersi abbandonare a un'affettuosità tangibile. A volte, il tocco aggraziato della sua zampa sul mio viso o il suo piccolo naso umido contro il mio si confondono coi sogni - o mi ridestano da incubi paurosi...
Cagliostro & Emma
Così era Cagliostro, che Isa amava altresì definire il suo "guardiano".
Victor era il suo esatto opposto. Arrivato nel cortile di Isa una sera d'estate (mentre la donna, stirando, stava guardando Frankenstein Junior: fu questa coincidenza a valergli un nome altisonante), era un gatto randagio e diffidente, col naso graffiato e l'occhio destro che lacrimava, striando di scuro la parte bianca della "mascherina" che portava sul muso. Il suo corpo - per quanto denutrito - era poderoso, ben piantato sulle zampe robuste. "Un misto tra il goffo e il bravaccio" pensò Isa, citando mentalmente la satira di Rajberti. (1)
Era affamato, ma non per questo disposto a rinunciare alla circospezione cui era avvezzo. Si faceva notare da Isa attraverso il vetro della cucina ma, non appena lei usciva per riempirgli la ciotola, il gattone faceva una piccola fuga, ponendosi in sicurezza dietro all'elleboro.
«Non ti fidi proprio di me, vero, micio-micione?»
Il gatto preferiva non rispondere.
Quel balletto andò avanti per mesi. Isa usciva in cortile, riempiva la ciotola e Victor si allontanava, mettendosi a mangiare solo dopo che la donna fosse rientrata in casa. Una sera, però, Isa decise di non andarsene e di sedersi sulla sedia sdraio. Victor la osservò perplesso da dietro le foglie dell'aquilegia: non l'aveva previsto. Le rivolse un debole miagolio (la sua voce era così delicata, in confronto al richiamo imperioso di Cagliostro!), come per dirle: "Avanti, vattane. Non lo sai che non posso mangiare, se non te ne vai?", e si mise anch'egli seduto, in attesa.
Ma Isa non sembrava intenzionata ad andarsene e così Victor, dopo molti tentennamenti, piccole corse fra le ortensie e qualche colpo di coda sulla polvere, decise di avvicinarsi comunque alla ciotola.

Continua...

(1) G. Rajberti, Il gatto, 1846, ECIG, Genova 1991, p. 90.

lunedì 2 gennaio 2012

Buona grazia con tutti e intimità con nessuno

Ovvero: dove, per mezzo di un trattato semiserio sui gatti, si riflette sull'umana malizia e si fanno buoni propositi per l'anno a venire.

Nelle giornate che restavano di quel lungo inverno, Isa s'era messa in testa di portare a termine due proponimenti: imparare a cucire a macchina e scrivere un saggio sui gatti nella letteratura. Progetti senza dubbio ambiziosi; ma Isa aveva dalla sua l'umidità, il freddo e l'oscurità dei pomeriggi di gennaio, che invogliavano a restare in casa a leggere, scribacchiare o ingegnarsi con scampoli di stoffa.
Del resto, il periodo precedente e successivo alle festività natalizie non era stato, né per Isa né per C., improntato a quella pace e a quella serenità di cui tanto si ama parlare all'approssimarsi del 25 dicembre. Entrambi avevano dovuto fare i conti, infatti, con i tre più temibili peccati della specie umana: la malignità, l'ignoranza e l'indiscrezione.
Dopo essersi molto arrabbiata (eppure riuscendo a mantenere fede al proposito di non dare in escandescenze), Isa aveva deciso di non pensare più a simili beghe e drammi da bottegaie; fu, tuttavia, uno stralcio tratto dalla satira di Giovanni Rajberti Il gatto a riportarla col pensiero agli ultimi avvenimenti e a spingerla a trarne una morale.

Parlando delle cortesi lagnanze espresse da mamma gatta ai ragazzini che si affollano intorno alla sua nuova cucciolata, Rajberti scriveva, nel suo trattatello del 1846:
La gatta madre [...] indica al più inquieto i doveri della discretezza. Ciò proviene da quell'alto grado di avvedutezza e di tatto sociale che distingue da tutti i bruti il gatto: il quale talvolta s'avanza franco e cordiale a provocare le carezze ruvide e pesanti d'uno sconosciuto che abbia cera da galantuomo; tal'altra batte il largo e sta guardingo, né si lascia per offerte o per moine avvicinare da chi dà il più lieve sentore di voler tendere una gherminella. Pare ch'ei legga nel cuore, e indovini le male intenzioni; e il solo vedersi molto desiderato senza un perché, gli basta per mettersi nel più alto grado di diffidenza. Peccato, che lezioni così chiare, giornaliere, domestiche, vadano perdute per l'umanità. Quale risparmio di guai dolorosi e di amari pentimenti, se tanti imparassero dal gatto ad essere cauti colle persone nuove, a non aprire il cuore al primo adulatore, a non far lega d'interessi col primo imbroglione che capita tra' piedi! (1)
A tale riguardo, Isa sapeva di essere in difetto - avendo permesso più volte, in passato, a persone grette, incapaci di qualsivoglia forma di eleganza, di intravedere i sentimenti del proprio cuore riguardo a questioni fra le più importanti.
Questi soggetti, che in un primo tempo si erano finti amichevoli e solidali, avevano poi cominciato a soffiare sul fuoco di vecchi dissapori, nel tentativo di alimentare nuove discordie; avevano diffuso ai quattro venti segreti e frammenti di conversazioni; imprecato con parole volgari; si erano incattiviti - per farla breve - con la virulenza tipica di una zitella d'aspetto sgradevole.
Il paragone al femminile non era casuale nella mente di Isa, giacché sovente questi iscarioti erano donne o, nella migliore delle ipotesi, uomini aizzati da mogli megere contro avversari immaginari. Cathy, che, al fianco di Isa, aveva osservato in più di un'occasione lo svolgersi dei fatti, scuoteva il capo esterrefatta di fronte a tanta bassezza morale e ripeteva all'amica: «Che ti dicevo? Bisogna sempre guardarsi dalle donne brutte, perché fin dal mattino, non appena si guardano allo specchio, sono arrabbiate col mondo e con se stesse!». Isa le dava ragione e, intanto, meditava su come difendersi da quelle ondate di fiele - che inzaccheravano ogni buona disposizione d'animo.
Alla fine, non volendo abbassarsi al livello degli aggressori, decideva quasi sempre di ignorarli e di cancellarli semplicemente dalla sua vita.

Leggendo e rileggendo le parole di Rajberti e dando uno sguardo ai suoi gatti adorati, Isa capì di dovere far tesoro d'un importante ammonimento. Ripensò al riserbo (così aggraziato!) di Cagliostro nei confronti di chiunque - all'infuori di lei e di C. (la madre di Isa ripeteva spesso: «Oh, ma questo tuo gatto... è così... distaccato!»); al timore di Matilde di fronte agli estranei; alla rapidità con cui Emma si defilava dal balcone non appena su quello accanto appariva la vicina di casa...
Capì di essere orgogliosa della discrezione (quale splendida parola!) dei suoi gatti e di volerla - da quel momento in avanti - imitare a tutti i costi.
In caso contrario, avrebbe finito per dare modo a certi individui di agire ancora contro lei. O, peggio, a lungo andare si sarebbe comportata come molte persone che lei e Cathy conoscevano - che non riuscivano a resistere alla tentazione di mettere in piazza i fatti più intimi e privati della loro vita, meravigliandosi poi che le malelingue li facessero a pezzi alla prima occasione...

(1) G. Rajberti, Il gatto, 1846, ECIG, Genova 1991, p. 39.