venerdì 11 maggio 2012

I gatti dell'ex manicomio - Parte prima

Viene il mattino azzurro
nel nostro padiglione:
sulle panche di sole
e di crudissimo legno
siedono gli ammalati,
non hanno nulla da dire,
odorano anch'essi di legno,
non hanno ossa né vita,
stan lì con le mani
inchiodate nel grembo
a guardare fissi la terra.
(1)

Esistono luoghi a cui siamo destinati. Luoghi testardi, che ritornano nelle nostre vite e in quelle dei nostri cari con insistenza - quasi con petulanza. Luoghi feroci, luoghi dolcissimi, luoghi che (ci piaccia o meno) non possiamo ignorare.
Isa conosceva bene la storia del bisnonno Carlo: gliel'aveva raccontata suo nonno Fernando, in una lettera scritta a mano qualche anno prima. Isa gli aveva chiesto di annotare su un taccuino qualche esperienza significativa della sua vita, per farne un racconto; Fernando, obbediente, si era messo a scrivere - ma, più che singoli episodi eclatanti, aveva messo insieme la trama della sua esistenza. In quelle riflessioni, Fernando aveva raccontato anche del padre Carlo, uomo brillante, dalla risata contagiosa e appassionato delle corse in bicicletta e di come venne rinchiuso al manicomio di V. - in quello che la gente della città e dei paesi limitrofi chiamavano "il repartino".
Un dramma silenzioso, compiuto grazie alla volontà e alla complicità dell'austera moglie Claudia. Un'ingiustizia destinata a restare invendicata - perché Carlo non era pazzo e in paese lo sapevano tutti. Ne era al corrente perfino la famiglia: i fratelli, le cognate, le tre figlie. Lo sapeva anche Fernando, l'unico figlio maschio, che pure era stato troppo debole per opporsi alla volontà della madre. Chissà, forse era stato quello - negli anni - il suo grande cruccio.
Lo sapevano perfino i dottori - se è da ritenersi veritiero l'episodio (raccontato negli scritti del nonno di Isa) in cui il giovane Fernando, andato all'ospedale per visitare il padre, ebbe un colloquio con il medico di turno, che gli mise una mano sul braccio e, senza guardarlo in viso, gli confessò: «Guardi che suo padre non ha proprio nulla».
Era diventato scomodo, Carlo, in quella famiglia quasi tutta al femminile - unico maschio capace di contrastare il volere di Claudia e la sua propensione a dilapidare il patrimonio in offerte alla Chiesa. Chissà cos'altro era accaduto in quella casa... chissà quante cose aveva taciuto Fernando - per pigrizia o per dolore.
Ciò che si sapeva di certo era che Carlo, in quel manicomio, ci era morto.
La luna s'apre nei giardini del manicomio,
qualche malato sospira,

mano nella tasca nuda.
La luna chiede tormento

e chiede sangue ai reclusi:

ho visto un malato
morire dissanguato
sotto la luna accesa.
(2)
Isa, quella storia, la conosceva da sempre (raccontata a mezza bocca da suo padre - che aveva sempre nutrito dubbi sulla "malattia mentale" di nonno Carlo - e infine confermata dalla lunga lettera di Fernando); eppure, come spesso succede con ciò che ci appartiene per nascita, non vi aveva mai fatto molto caso. Scioccherella com'era, non aveva mai neppure pensato di scriverci una storia, un raccontino, una poesiola. (Non un romanzo; ché per quello sarebbe occorsa una perseveranza di cui Isa non era dotata.) 
L'evidenza del destino la colpì solo quando incontrò l'amica Federica e questa le propose di trascorrere qualche ora della settimana a fare volontariato presso un rifugio di gatti, a V. Isa accettò di buon grado e, quando apprese che la colonia era situata presso il parco (ormai incolto, decadente) dell'ex ospedale psichiatrico, impiegò qualche istante per riaversi dalla sorpresa: dopo tutti quegli anni, sarebbe andata a far visita al bisnonno Carlo...

Continua...

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(1) A. Merini, La Terra Santa, in Vuoto d'amore, Einaudi, Torino 1991, p. 121.
(2) Ivi, p. 109.

3 commenti:

  1. sono senza parole... è bellissimo!

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  2. ho solo detto la verità... davvero bello e anche commovente per certi versi... brava!

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