lunedì 8 ottobre 2012

Rufus - Parte prima

Ricordate bene: i gatti sanno scegliere con cura le persone da amare, quelle che - più e meglio di altre - sapranno viziarli e custodirli, soprattutto durante la vecchiaia.
Rufus era un gatto anziano, ridotto allo stremo delle forze da un acuto ipertiroidismo.
Il colore del suo pelo e le macchiette marroni che aveva ai lati del naso lo facevano assomigliare molto a Matilde - ma di Matilde non possedeva né la rotondità delle guance né la morbidezza del ventre.
Rufus era un gatto ossuto, con la pelle tirata sul cranio e gli occhi verdi aperti in un'espressione d'incredulità.
Era come se non riuscisse a credere di essere stato abbandonato in quelle condizioni, gettato nel caldo d'agosto all'interno del parco dell'ex ospedale psichiatrico, fra tutti quei gatti che non conosceva.
Isa lo vide fare capolino oltre la porta del lavatoio dove lei si trovava intorno alle undici del mattino. Capì subito, dalla sua magrezza, che non poteva trattarsi di uno dei gatti della colonia e chiamò le altre volontarie. Scoppiò subito un piccolo putiferio: di chi era quel gatto? Da dove arrivava? Chi aveva avuto il coraggio di abbandonarlo in quelle condizioni? Luisa appurò che si trattava di un maschio castrato; Isa asserì che, considerando la morbidezza dei suoi polpastrelli, molto probabilmente si trattava di un gatto abituato a vivere in casa.
Ma ciò che colpì di più Isa fu la sua pressoché totale mancanza di aggressività verso gli altri ospiti della colonia e quel suo modo gentile di girarle intorno alle gambe, miagolando con voce forte e profonda. «Sei stupito di trovarti qui, non è vero?» gli domandò Isa accarezzandogli le vertebre che spuntavano sotto la pelle della schiena. «Ma che vuoi sapere, tu, di quanto possano essere meschini gli uomini? Sei ammalato. Forse è per questo che ti hanno lasciato. Eri diventato di troppo, vecchio gatto stanco...» Rufus la guardava dal basso, ronfando rumorosamente, lasciandosi sfuggire qualche rauco miagolio. La sua docilità nei confronti di quelle persone che non conosceva era disarmante: chiunque, se avesse voluto, avrebbe potuto fargli del male. Lui non si sarebbe difeso: non ne aveva più la forza né la volontà. A Isa tornò in mente il racconto di Doris Lessing intitolato Rufus - e così decise di battezzare il vecchio gatto tigrato.
Quel gatto non aveva mai davvero creduto che non avrebbe potuto perdere questa casa ed essere costretto a cercarsi da vivere, a diventare un gatto impazzito per la sete e dolorante per il freddo. La fiducia, l'amore che aveva riposto in qualcuno, una volta erano stati così profondamente traditi, che quel gatto non aveva potuto consentirsi mai più di voler bene di nuovo. (1)
Rufus rimase all'ex ospedale psichiatrico per un paio di settimane, poi fu trasferito presso la clinica veterinaria. Lo trovarono molto disidratato e lo misero per un paio di giorni in una gabbia, per fargli qualche flebo. Lo trasportarono Isa e Luisa e, quando lo lasciarono (Rufus le fissò con quei suoi grandi occhi verdi malinconici, mentre lasciavano lo studio veterinario), a Isa venne da piangere. «Chissà che cosa farà... Chissà se avrà paura...»
«Eh già. Ma è per il suo bene, non scordiamocelo» rispose con coraggio e praticità Luisa che, in ogni caso, quella notte avrebbe pensato a lungo al povero Rufus.
Una volta dimesso dalla clinica, il vecchio gatto fu trasferito presso il gattile di V., una struttura più moderna e attrezzata, dove avrebbero potuto garantirgli cure mediche migliori.
Isa non lo vide più per quasi un mese, fino al pomeriggio in cui non fece una visita al gattile insieme a Luisa e al marito di quest'ultima, Aldo.
Rivederlo in quelle stanze - sempre così magro, stupito e miagolante - a Isa provocò una grande tristezza. Lo accarezzò a lungo, lo prese in braccio e Rufus attaccò a fare le fusa con intensità crescente. Non aveva più molte speranze, quel povero gatto: nessuno dei visitatori avrebbe mai adottato un animale stanco e ammalato.
Isa non disse nulla; ma, quella sera, mentre preparava il tavolo per la cena, disse a C.: «Io lo porto a casa».
«Ma di che parli?»
«Di Rufus. L'ho rivisto oggi, al gattile. Lo so che abbiamo già quattro gatti e che la casa è piccola. Ma lui non ha altre speranze. Ed è venuto da me, quella mattina d'agosto, te lo ricordi? E' stato lui a scegliere me; non posso deluderlo.»
C. rimase in silenzio per qualche istante, accarezzando la schiena nera di Cagliostro, come se la sericità del suo pelo potesse ispirare la più giusta decisione - e alla fine disse: «Vallo a prendere domani, allora. Se è così, meglio non aspettare ancora...»

(1) D. Lessing, Particularly Cats, trad. it. Gatti molto speciali, Feltrinelli, Milano 2008, p. 161.

Continua...

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